lunedì 17 novembre 2008

Documentazione prodotta dall' assemblea nazionale del movimento studentesco dell' onda anomala

Roma, 15 – 16 Novembre 2008
Reports dei tre Workshops tematici:

PRIMO WORKSHOP
Didattica

La complessità emersa nell’ambito di una discussione sull’autoriforma della didattica, ha messo in luce la molteplicità di articolazioni possibili tramite le quali immaginare una ristrutturazione dei processi didattici, cosi da poterli ripensare come non piu asserviti alla logica di disciplinamento introdotta dall’università del 3+2. Al tempo stesso queste differenze e pluralitá attestano tanto l’inevitabilità di contestualizzare queste riarticolazioni a contesti specifici, quanto la necessità diffusa di ripensare una trasformazione radicale dei processi formativi. Infatti, pur nelle differenze é emersa una chiara e totale opposizione al modello definito in Italia dal 3+2. Dall’assemblea si é prodotto quindi un dibattito complesso, espressione dell’esigenza dei differenti nodi di affrontare una discussione progettuale sull’autoriforma della didattica che dovesse tenere conto dell’articolazione di un confronto assembleare dal quale potessero risaltare la volontà di avviare un processo costituente e non di arrivare ad una definizione finale ed univoca delle pratiche che nell’attraversamento quotidiano delle facoltá e degli atenei giá aprono spazi di riappropriazione e decisione.
Da questo punto di vista sono emersi punti di convergenza vertenziali tra le differenti realtá.
1)Abolizione del sistema del 3+2 così come del sistema del credito. Da questo punto di vista si è prodotto un dibattito non sintetizzabile sulle modalità attraverso cui raggiungere l’obiettivo.
2)Critica alla parcellizzazione degli esami e proposte di riaccorpamento per favorire un sapere critico e complessivo
3)Rivendicazione di un’equa retribuzione del lavoro svolto in stages e tirocini: in ogni caso va garantito il carattere facoltativo degli stessi.
4)Critica della meritocrazia e sua applicazione in Italia. Non devono esistere poli di eccellenza contrapposti al resto delle universitá, a maggior ragione se autoproclamati come nel caso dell’AQUIS. In secondo luogo si è svolta una critica ai parametri di valutazione schiacciati sulla produttivitá, e nello stesso tempo si sono proposte nuove forme che privilegiassero la valutazione dal basso e la qualitá.
5)Abolizione dei blocchi all’accesso e lungo il percorso di formazione superiore. I blocchi devono essere eliminati sia come sistema di esclusione dal diritto allo studio, sia come filtri progressivi di stratificazione sociale.
6)Abolizione della frequenza obbligatoria come strumento di controllo sui tempi di vita e di studio.
7)Revisione dei piani di studio nella direzione di una conquista di una maggiore libertà dei propri percorsi formativi.
8)Le università del sud Italia hanno posto ulteriori motivazioni alla necessità della natura pubblica dell’università. La specificità dei loro territori pone l’accento su una massiccia corruzione.
Il dibattito del workshop è stato attraversato da un’analisi comune: quello di concepire il processo di autoriforma non come un disegno organico o un intervento legislativo, ma come il recupero di spazi di decisione diretta da parte degli studenti. Questo ha significato critica alla rappresentanza studentesca, ai processi di gerarchizzazione dell’amministrazione universitaria, e necessità dell’organizzazione autonoma del conflitto: riappropriazione di spazi (biblioteche, laboratori, aule autogestite, etc.) e di tempo, diffusione critica e autonoma del sapere. Accanto a questo si è sviluppato un dibattito articolato e aperto sulla proposta dell’autoformazione: questa è una tra le varie pratiche sperimentate per l’inflazionamento e il sabotaggio del sistema del credito.
La discussione su modalità autogestite di didattica ha dato spunto per proporre e approfondire la didattica partecipata, e che, in ogni caso, destrutturasse un rapporto gerarchico e verticale nella trasmissione del sapere: così come ha posto molta attenzione alla formazione non come accumulo indistinto di nozioni, ma come produzione di sapere critico.
Concludiamo ricordando l’indicazione di metodo rispetto al proseguimento delle lotte indicate durante questi due giorni: la cooperazione nasce dal dibattito propositivo e non ideologico tra le varie realtá che sperimentano in maniera autonoma conflitto dentro l’università.

SECONDO WORKSHOP
Welfare e diritto allo studio

Il workshop di ieri è stato partecipato da circa un migliaio di persone, al pari degli altri due. Si tratta, evidentemente, di un dato eccezionale dal punto di vista della quantità, in piena continuità con l’assemblea nazionale nel suo complesso e con queste straordinarie settimane di mobilitazione che stiamo vivendo. Ma c’è di più. Il dato della discussione di ieri è eccezionale anche dal punto di vista qualitativo. I quasi cento interventi da tutte le città che si sono susseguiti per più di sette ore di intensa discussione segnano un deciso e importante passaggio in avanti nell’elaborazione collettiva e nella costruzione di agenda politica su temi assolutamente decisivi per il movimento.
Lo slogan che attraversa e che maggiormente caratterizza le mobilitazioni universitarie, “Noi la crisi non la paghiamo”, definisce già con chiarezza la centralità delle questioni del Welfare e del lavoro dentro la riflessione politica e i processi di conflitto che si sono dati nelle mobilitazioni di queste settimane.
Sulla crisi finanziaria globale si registrano varie interpretazioni, talora contrastanti anche negli stessi ambiti del pensiero critico e radicale. In questo workshop, com’è stato più volte ribadito, il nostro obiettivo non era la definizione in termini di analisi di genealogia e tendenze dell’attuale crisi: essendo questo un tema di straordinaria importanza e attualità, preferiamo a tal fine proporre fin da subito la costruzione di uno o più momenti seminariali.
Il nostro punto di partenza è stato invece la definizione del carattere politico e il terreno di lotta che attorno al tema della crisi si apre, più precisamente sul problema della decisione della distribuzione della ricchezza sociale in un contesto che dalla crisi è profondamente segnato. Il presente movimento si muove all’interno di una doppia crisi: quella finanziaria e quella dell’università. Quest’ultima in Italia assume caratteristiche peculiari, determinate dallo storico disinvestimento nel sistema dell’istruzione e della ricerca, e dalle strategie di smantellamento operate dai governi di centro-destra così come da 2 quelli di centro-sinistra.
In questo quadro, come emerso dalla discussione, i processi di aziendalizzazione dell’università e i tagli dei finanziamenti alla ricerca e alla formazione si accompagnano all’aumento delle spese di guerra, ai fondi statali regalati alle imprese private, al piano salva-banche. La retorica degli sprechi e del contenimento del debito pubblico, abbondantemente utilizzata dal Governo nel tentativo di giustificare i tagli mortali contenuti nella legge 133, rivela qui infatti la sua natura puramente ideologica.
Tutto ciò, soprattutto, permette di individuare nell’università un terreno di lotta di particolare importanza, a partire da cui produrre dei processi di generalizzazione del conflitto. La parola d’ordine “noi la crisi non la paghiamo” indica quindi non una semplice istanza espressa da un particolare soggetto sociale, ma la sua capacità di parlare il linguaggio dell’intera composizione del lavoro e del precariato contemporaneo, proprio in virtù della centralità di studenti e saperi nelle forme attuali della produzione. Quello della generalizzazione è uno dei punti particolarmente sottolineati nel corso della discussione, come posta in palio delle possibilità di sviluppo dello straordinario movimento che sta stravolgendo le compatibilità che si credevano imposte dal governo Berlusconi. Non a caso, la Cgil è stata costretta a indire lo sciopero generale sotto la spinta e la forza dell’onda. Nel workshop si è prodotta una ricca discussione che ha permesso di fare un importante passo in avanti, di analisi e di merito politico, nella riconfigurazione del diritto allo studio e nelle battaglie attorno ad esso. L’attacco al diritto allo studio non assume più solo i tratti classici dell’esclusione, ma dei nuovi processi di selezione e inclusione differenziale direttamente interni al sistema universitario. Laddove i diritti sociali non sono più garantiti dal welfare pubblico, l’indebitamento rappresenta una costrizione per continuare a soddisfare bisogni collettivi, quali ad esempio la formazione e l’accesso ai saperi. Nonostante l’irrisorio e propagandistico stanziamento di fondi per le borse di studio, strettamente regolato dal sistema meritocratico, il progetto complessivo di trasformazione dell’università va nella direzione di un aumento delle tasse d’iscrizione. In questo contesto, se il diritto allo studio è certamente garantito dalla Costituzione, esso è di fatto non solo disatteso nella pratica, bensì nel nuovo contesto produttivo assume nuove caratteristiche. Infatti, un numero crescente di persone entra nel sistema dell’istruzione superiore nella misura in cui sono costrette a indebitarsi e si dequalificano i saperi a cui hanno accesso. I processi di lotta si spostano quindi sul piano del mercato del lavoro (sempre più regolato e intrecciato alla produzione di saperi e formazione), dei processi di gerarchizzazione e del welfare.
Di pari passo, il diritto allo studio si riconfigura come battaglia sulla qualità dei servizi e riqualificazione e autogestione dei saperi. Allora, prendendo anche atto del fallimento delle agenzie per il diritto allo studio, la lotta contro l’aumento delle tasse e la liberalizzazione dell’accesso, si deve accompagnare a una battaglia sulla qualità dei servizi, contro i numeri chiusi, per il non ripagamento dei prestiti d’onore (ovvero il sistema italiano del debito, ancora non pienamente affermato ma in via di tendenziale espansione). Una battaglia, quindi, contro qualsiasi tentativo di scaricare su studenti e precari i costi della crisi finanziaria e dell’università. La crisi la paghino invece le banche e le imprese, i governi e i baroni, oggi tutti alleati ben al di là delle retoriche su sprechi e corruzione. Se la sfida lanciata dal movimento ha nell’università un terreno privilegiato, deve al contempo riuscire a generalizzare le proprie istanze per poter aprire un terreno di più complessiva lotta sul welfare. Da questo punto di vista, è stato evidenziata l’inesistenza in Italia di ammortizzatori sociali e strumenti di sostegno al reddito per gli studenti e i precari. Occorre allora reclamare anche in Italia forme di erogazione, dirette e indirette, di reddito per gli studenti e i precari che vadano nella direzione dell’autonomia e dell’indipendenza e del rifiuto delle forme di precarizzazione.
La discussione ha elaborato delle proposte di agenda e campagna politica verso lo sciopero generale e generalizzato del 12 dicembre e oltre. Una settimana di iniziative in cui far vivere i temi di una nuova battaglia su case, mense, tasse e borse di studio, sull’accesso alla cultura (fatta di autoriduzioni in teatri, cinema, musei), sulla gratuità dei trasporti (dai treni ai bus), per la riappropriazione di appartamenti sfitti, per la libera circolazione dei saperi, contro i brevetti e i copyright. Una giornata di mobilitazione nazionale dislocata nelle diverse realtà territoriali in cui dar vita a blocchi della città, azioni, occupazioni per praticare e generalizzare lo slogan “noi la crisi non la paghiamo”. Uno sciopero del lavoro nero degli studenti universitari e dei ricercatori precari, reclamando reddito per le attività già erogate da studenti e ricercatori precari (stage, tirocini, il lavoro didattico, di ricerca e formativo non riconosciuto). La costruzione di un percorso di inchiesta che, dal punto di vista del metodo, dovrebbe diventare pratica centrale nella costruzione dei percorsi di lotta e di produzione di conoscenza. Come studenti e precari sono i produttori della ricchezza sociale, e di questa ricchezza vogliamo riappropriarci. Non vogliamo pagare la crisi finanziaria e dell’università, perché la crisi la paghino le banche, le imprese, i governi, i baroni. Non vogliamo pagare la crisi, perché noi siamo l’onda che li mette in crisi. Fluidi, imprevedibili e irrappresentabili nel nostro movimento, e al contempo forti, potenti e liberi come una mareggiata che li travolge. Perché il nostro tempo – il tempo dell’autoriforma dell’università, della riappropriazione della ricchezza sociale e di un nuovo welfare – è qui e comincia adesso.

TERZO WORKSHOP
Ricerca, Formazione e lavoro

Ricerca, formazione, lavoro. Questi i temi di cui abbiamo discusso durante la giornata di ieri, dal nostro punto di vista, dal punto di vista dell'onda. Abbiamo chiamato il nostro percorso autoriforma, autoriforma dal basso dell'università. Autoriforma dal basso per noi e' travolgere questa universita', attraversarla con i nostri desideri e le nostre proposte, proposte che vogliamo costruire a partire dalla comprensione della sua crisi e del suo rapporto con la società.
Una crisi esplosa da tempo e approfondita da un quindicennio di pessime “riforme” volte ad aziendalizzazione e privatizzazione dell'università, che i provvedimenti di questo governo trasformano in catastrofe. Pensiamo al taglio del FFO, al blocco del turnover , ma soprattutto alla trasformazione degli atenei in fondazioni di diritto privato, alle sue conseguenze in termini di discriminazione di censo nell'accesso a un'istruzione di qualità e di destrutturazione dell'intero Sistema universitario nazionale. Effetti che non potranno non aggravare le già critiche condizioni della scuola di ogni ordine e grado. Non dimentichiamo però le responsabilità di chi l'università ha gestito con meccanismi corporativi e clientelari, di chi soffoca la ricerca per mezzo di un'opprimente gerarchizzazione, di chi ha costruito un sistema fondato sullo sfruttamento generalizzato del lavoro precario, di chi ha oramai accettato l'idea di un drastico restringimento dell’accesso a un'istruzione pubblica di qualità. Il nostro obiettivo e' stanare e denunciare queste aberrazioni ovunque si manifestano, conoscerle per scardinarle. E' superare il cosiddetto 3+2, contrastare i suoi effetti di frammentazione e scadimento della didattica funzionali alla produzione di lavoratori precari e ricercatori al servizio del privato o dell'impresa di turno.
In due mesi di mobilitazioni abbiamo dimostrato di non avere alcuna intenzione di lasciarci incantare dalle false aperture del ministro Gelmini o chiuderci nel recinto di uno studentismo vuoto e arrogante. Abbiamo gridato dalle piazze di tutta Italia la nostra consapevolezza che solo l'unione e la generalizzazione di proteste particolari può rovesciare quei rapporti di forza che schiacciano il mondo dell'istruzione e della ricerca tanto quanto quello del lavoro. Solo il continuo coordinamento e allargamento della protesta potrà portare a un reale cambiamento nelle politiche del governo e per questa ragione aderiamo allo sciopero generale indetto per il 12 dicembre con la promessa di farlo vivere nelle nostre metropoli e in qualunque luogo raggiunto dall'Onda. Il nostro sciopero sarà dunque all'insegna della generalizzazione delle mobilitazioni, della lotta contro la precarietà e per l'abolizione di tutte le forme di lavoro parasubordinato contenute nella legge 30, contro ogni discriminazione di genere, cultura e razza, contro la criminalità organizzata che strangola il nostro Sud e sempre più anche il nostro Nord.
Autoriforma è il percorso concreto di elaborazione, d'inchiesta e di conflittualità che mette in crisi il sistema attuale, che propone un modello diverso di università attraverso una critica radicale dell'esistente. Vogliamo costruire un'università pubblica, democratica ed accessibile a tutti.
Per questo sentiamo l'urgenza, in questa fase di crisi profonda del modello sociale ed economico neoliberista, di un'università che sappia dare il suo contributo alla costruzione di un nuovo e più equo modello di sviluppo. Il nostro punto di partenza sarà l'analisi della ricerca concretamente prodotta dalle nostre università ed enti, delle sue ricadute sul territorio, la creazione di sapere critico e la moltiplicazione delle esperienze di autoformazione e didattica alternativa cui abbiamo dato vita nelle nostre mobilitazioni.
1) L'indipendenza e l'autonomia della ricerca sono per noi principi fondativi. La ricerca non deve essere subordinata a logiche di mercato: le risorse e le strutture pubbliche dalle quali essa dipende non possono essere messe al servizio di interessi privati. Il sapere e' un bene pubblico, una produzione collettiva e per questa ragione non appropriabile: i suoi risultati devono essere socializzati, ossia posti al servizio dell'intera società. Per questo riteniamo essenziale lo sviluppo di forme non commerciali della loro tutela (GPL/Creative commons) in contrapposizione al brevetto nonché il sostegno all'editoria scientifica open source ed una stretta sinergia tra ricerca e didattica. Siamo però consapevoli che l'emergenza attuale ha tra le sue cause principali il cronico sottofinanziamento delle attività di ricerca, che deve essere portato almeno ai livelli indicati dal Trattato di Lisbona (3% del Pil contro l'attuale 1%). E poiché una ricerca libera non può esistere senza ricercatori autonomi e indipendenti da ogni condizionamento, la democratizzazione dell'accesso ai fondi e la sua apertura ai ricercatori non strutturati e ai dottorandi è per noi condizione irrinunciabile.
2) L'autonomia della ricerca e la qualità dell'università pubblica non possono essere disgiunte dalla realizzazione di un nuovo concetto di valutazione. Tale concetto, più complesso della combinazione di indici presuntamente quantitativi, non deve essere legato al contenimento del bilancio, alla produzione di brevetti o al semplice numero delle pubblicazioni. Pensiamo che la valutazione debba essere intesa anche come rendicontazione sociale delle attività degli atenei e del sistema nel suo complesso, che non possa prescindere dai contesti territoriali in cui le università sono inserite. Contemporaneamente, ribadiamo che anche docenti, ricercatori e dottorandi dovrebbero essere coinvolti nei processi di valutazione. Gli esiti della valutazione della didattica e della ricerca dovrebbero condizionare la distribuzione di parte dei finanziamenti per gli atenei sia nella distribuzione dei finanziamenti ai singoli.
3) Il problema del reddito è sicuramente trasversale a tutto il corpo vivo dell'università: studenti dottorandi e ricercatori precari. Al lavoro di ricerca, perché di lavoro si tratta, devono corrispondere un salario adeguato e i diritti stabiliti dallo statuto dei lavoratori. La moltitudine di tirocini, stage e praticantati tutti rigorosamente non retribuiti non sono più tollerabili, così come la dilagante attività didattica a titolo gratuito. Ogni prestazione deve essere contrattualizzata al più come forma di lavoro subordinato a tempo determinato e in tal caso deve essere garantita la continuità del reddito, diritto fondamentale di cui chiediamo l'estensione a tutti i lavoratori precari. Non solo, commossi dall'attenzione del ministro Gelmini alle condizioni degli edifici scolastici, rivendichiamo ambienti idonei di studio, lavoro e ricerca.
4) Il dottorato di ricerca è il più alto grado dell'istruzione italiana e contemporaneamente l'introduzione all'attività di ricerca. Vanno dunque garantiti adeguati percorsi didattici e il diritto all'autonomia economica. Questo significa in particolare l'immediata soppressione dei dottorati senza borsa e il pagamento di tasse di iscrizione. I dottorandi dovrebbero vedere riconosciuti i loro diritti per mezzo di uno statuto nazionale a loro dedicato. Per quanto riguarda le specializzazioni è emersa la necessità di nuove procedure concorsuali trasparenti. Le mansioni affidate agli specializzandi non devono mai oltrepassare le competenze previste dalla legge.
5) Per quanto riguarda la spinosa questione del reclutamento, ribadiamo la nostra ferma opposizione al blocco del turnover. Ma questo non ci basta, dopo anni di blocco dell'accesso ai giovani che ha esasperato la precarietà e incentivato la fuga dei cervelli. Chiediamo l'istituzione di un contratto unico di lavoro subordinato una volta terminato il dottorato, di durata non inferiore ai due anni: esso deve sostituire l'attuale jungla di “contratti” precari. Tali misure non avrebbero tuttavia alcun senso senza un consistente reclutamento straordinario via concorso, che deve essere seguito da un reclutamento ordinario via concorso costante nel tempo. Per quanto concerne l'inquadramento della docenza, chiediamo l'istituzione di un ruolo unico e l'incompatibilità della libera docenza con contratti di diritto privato.
6) I ricercatori precari, essenziali al funzionamento di tutte le università italiane, sono completamente assenti dagli organi decisionali delle stesse. E' questo un elento chiave della gerarchizzazione del lavoro di ricerca e didattica. Come ogni altra categoria nell'università, i ricercatori precari e i dottorandi devono partecipare ai processi decisionali tramite i loro rappresentanti eletti.
7) L'Onda ha già valicato i confini nazionali. In tutta Europa si sono svolte manifestazioni di solidarietà al movimento italiano. Questo fatto ci parla della dimensione transnazionale dei problemi che stiamo affrontando. Il lavoro di ricerca prevede la mobilità come elemento irrinunciabile ma continuamente ostacolato dalle differenze dei diversi sistemi nazionali. Spesso le riforme, sgradite a chi l'università la vive, sono state giustificate in nome di una presunta volontà di integrazione a livello europeo. Vogliamo sottolineare che uno spazio europeo della ricerca ancora non esiste e che il movimento deve assumersi la responsabilità di cominciare a crearlo, non attraverso la normazione astratta ma attraverso la circolazione delle idee e delle lotte.
8) L'osservazione dei diversi modelli di sistema universitario presenti al momento in Europa ci permette di rigettare immediatamente alcune ipotesi di sviluppo, come il modello anglosassone e il principio del debito di formazione, già ampiamente entrato in crisi in Inghilterra e negli Stati Uniti. In quest'ottica proponiamo la convocazione di una riunione europea che metta in circolo le diverse vertenze sviluppate dai movimenti di studenti e ricercatori precari.
9) Questione di genere nella ricerca. Nella ricerca rimane aperta la stessa questione di genere che troviamo ovunque nel mondo del lavoro: da una parte la progressione dei carriera delle donne è fortemente filtrata ai livelli più bassi, dall'altra le donne subiscono il perenne ricatto biologico, aggravato dalla precarietà, per cui la maternità diventa in realtà la via di espulsione dal mondo della ricerca.
10) Se infatti autoriforma e' anche e soprattutto un percorso condiviso di lotte questo workshop ha espresso una molteplicità di strade che possono essere percorse a livello locale e nazionale:
- Se il precariato e' il problema di questa generazione una grande inchiesta sul lavoro precario nell'università ci sembra fondamentale, che porti ad un censimento a livello nazionale che ci permetta di tradurre nella forza dei numeri l'enormità del fenomeno
- La congiunzione con la protesta della scuola
- Appello studenti, dottorandi e precari per lo sciopero generale/gli scioperi generali.
- Coordinamento con la scuola (insegnanti, genitori, precari, anti137, nogelmini, circoli
genitori-insegnanti-universitari)
- Azioni locali contemporanee e condivise da tutto il movimento. Giornata nazionale della ricerca.
- Vertenze locali comuni studenti, ricercatori precari
- Sviluppare vertenze per l'Applicazione della Carta europea della ricerca.
- Iniziative di apertura verso l’esterno , nel territorio, di apertura dell’università alla
cittadinanza, ai bambini delle scuole, alle famiglie, ai lavoratori. Seminari in piazza ecc.
- Gruppo di studio sulla valutazione.
- Occorre sviluppare una critica di tutti gli strumenti di governance universitari a partire dalla fondazione di diritto privato CRUI e dell'autoproclamato circolo dei migliori atenei d'Italia, AQUIS
- Promuovere una assemblea Europea
Una molteplicità di strade ma molte di più, pensiamo, sono quelle che usciranno dalla fantasia di questo movimento, dalla forza della partecipazione che lo sta facendo vivere, dalla capacità di sperimentare percorsi nuovi che ha mostrato in questi giorni di mobilitazione. Il movimento deve durare, sappiamo che la nostra lotta avrà tempi lunghi ma sappiamo anche che, almeno per questo paese, è una grande occasione e grande speranza.

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